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La Minuta #17

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  Era appeso al cornicione da un po', a un'altezza in un certo senso apprezzabile, un’altezza di quelle che ti regalano il gusto dell'attesa. Per cinica precisione l’attesa che l'impatto con il terreno sottostante ti sparga un po' ovunque. L'uomo si era ben guardato dal chiedere aiuto, sarebbe stato socialmente un suicidio. Tuttavia qualche passante che aveva alzato lo sguardo al cielo per bestemmiare lo vide, la voce si sparse, non prima di venire depurata dalle bestemmie, e qualcuno, i meno cinici e indifferenti, decisero di dare una mano e aiutare. I meno intraprendenti invece scommisero su quanto sarebbe durato “l'uomo festone”, mentre quelli con maggior spirito imprenditoriale raccolsero le puntate dei primi. Qualcuno cercò la complicità di qualche abitante del palazzo per permettere ai curiosi di sporgersi per vedere più da vicino il malcapitato, previo pagamento di un modico biglietto. Fece in tempo a calare la sera e “l'uomo festone” tornò solo,

La Minuta #16

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  Era tutto nato da un'emicrania di lei. Si lamentava di "un cerchio alla testa", e lui sentì l'impellenza di risolvere il problema. E pensò bene di “squadrarle” il cranio con una morsa da falegname. Poi venne quell'altro tizio, affamato, che sentiva un profondo "buco allo stomaco". E lui glielo sistemò per bene:  tappò il buco piantandogli un ciocco di legno nella pancia. Infine ci fu quel tizio col cuore spezzato. Una siringata di colla in mezzo al petto pose fine alla sua sofferenza, in un certo senso. Si sparse la voce e gli onesti e devoti cittadini protestarono: che si trovasse una soluzione al problema dell’omicida letterale, perdindirindina!  L'ispettore incaricato di catturarlo non riusciva a cavare un ragno dal buco, così il killer gli spedì cento tarantole, in assoluto tra le più velenose. Il caso, per l’ispettore, continuava però a essere un tarlo nel cervello. Fu la svolta: l’omicida gli si presentò davanti pronto a riempirgli il cranio

La Minuta #15

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  "La vita è troppo breve per non essere vissuta!" Si ripetè. E tosto fece i bagagli, accalappiò un taxi e si diresse alla stazione dei treni. Nel determinato tentativo di assaporare il concetto di avventura fino in fondo, prese un biglietto a caso e raggiunse correndo il binario, di lì a poco il viaggio sarebbe iniziato! Arrivato alla banchina, anche se ansimante, era già pronto a balzare sulla carrozza, ma si bloccò, c'era un problema: mancava il treno, era in ritardo. Attese in piedi, valigia alla mano, pronto a salire in un balzo, senza perdere un solo istante. Poi attese poggiando la valigia a terra, non voleva bruciare subito tutte le energie, scrutava intensamente la direzione da cui sarebbe dovuto arrivare il treno. Attese quindi seduto sulla valigia, spostò lo sguardo dall’orizzonte al pannello degli arrivi: era segnalato un ritardo, ma era ormai scaduto, il treno sarebbe arrivato a momenti. Allora optò per attendere al bar della stazione, bevendo del whiskey, gu

La Minuta #14

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Il giovane Ghianda si infilò indomito un dito nel naso alla ricerca di un pensiero perduto. Ma dopo molto cercare ne estrasse solo un piccolo appiccicoso incubo verde.  

La Minuta #13

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  Il cacciatore superò il crinale, si addentrò nel bosco tetro e giunse ansante presso un'ansa del ruscello, la lunga marcia gli era costata sudore e bestemmie, ma in barba ad ogni pentimento ora era ansioso di cacciare. Assopita vicino al rivolo stava una bestia, ma il cacciatore, in ammollo nella vegetazione fino al collo e assordato dal torrente, non si accorse della sua presenza se non quando il suo piede aveva già iniziato a comprimerne incautamente la coda. L'uomo si bloccò a mezz'aria, benedetto istinto di sopravvivenza sempre in ritardo. La bestia, assonnata, aprì lentamente gli occhi e ancor più lentamente le fauci, mostrando lunghi, taglienti, denti bianchi. Gli occhi promettevano una morte certa, tutto il resto dell'animale erano la garanzia che avrebbe tenuto fede alla promessa. Gli sguardi si incrociarono, il cacciatore avrebbe voluto essere altrove, anche disteso su un letto d'ospedale o seduto sopra un cactus sarebbero stati posti migliori rispetto a

La Minuta #12

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  Era un figlio d'arte. Gangster il padre, gangster la madre, gangster pure il nonno che a fine carriera aveva preso dimora in un pilastro di cemento armato. Era l’ultimo rampollo di una famiglia che aveva costruito un impero su una dialettica a base di affermazioni forti: pugni, mazze e colpi di pistola.  Si era deciso ad avviare un pesante rebranding dell’attività: voleva abbandonare i metodi violenti e sanguinari. Odiava le armi da fuoco, troppo impersonali e rumorose a suo avviso,  rompevano l’intimità tra intimidatore ed intimidito; avrebbe preferito le armi bianche, ma come fare per gli schizzi di sangue, firmamento rosso sul candido volto delle sue camicie preferite? Non le avrebbe lavate. La dialettica uscì dal suo stesso concetto di metafora e divenne dialettica pura, concreta arma di persuasione. La prima cavia del nuovo metodo fu un allibratore, si era intascato dei soldi non suoi, ma nelle sue tasche i soldi, non suoi, non c’erano. Ecco che suo malgrado divenne un ottim

La Minuta #11

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 L'amerindo e il vaccaro si fronteggiavano da diversi minuti, indiano contro cow-boy, a distanza canonica, sotto il sole cocente, cliché di ogni duello. Il primo puntava l'arco, freccia incoccata e corda tesa, con l'occhio in linea con il dardo, il secondo a canna spianata, dritta davanti a sè, scrutava l'indigeno da dietro il cane del fucile. Incuranti dell'ambiente circostante e l'ambiente circostante abbastanza menefreghista rispetto a loro. I muscoli  gemevano, protestavano per gli straordinari a cui erano sottoposti. Negli occhi sbarrati divampavano incendi appiccati dalla polvere della prateria. Gocce di sudore solleticavano la pelle dei volti. Poi il lampo del magnesio. I due, stanchi ed esasperati, si voltarono d'intesa verso il fotografo e gli praticarono due nuovi fori sul cappello.