La Minuta #12

 


Era un figlio d'arte. Gangster il padre, gangster la madre, gangster pure il nonno che a fine carriera aveva preso dimora in un pilastro di cemento armato. Era l’ultimo rampollo di una famiglia che aveva costruito un impero su una dialettica a base di affermazioni forti: pugni, mazze e colpi di pistola.  Si era deciso ad avviare un pesante rebranding dell’attività: voleva abbandonare i metodi violenti e sanguinari. Odiava le armi da fuoco, troppo impersonali e rumorose a suo avviso,  rompevano l’intimità tra intimidatore ed intimidito; avrebbe preferito le armi bianche, ma come fare per gli schizzi di sangue, firmamento rosso sul candido volto delle sue camicie preferite? Non le avrebbe lavate.
La dialettica uscì dal suo stesso concetto di metafora e divenne dialettica pura, concreta arma di persuasione.
La prima cavia del nuovo metodo fu un allibratore, si era intascato dei soldi non suoi, ma nelle sue tasche i soldi, non suoi, non c’erano. Ecco che suo malgrado divenne un ottimo esempio della violenza delle parole: dopo il primo siccome che perse i sensi, con i a me mi si mise a urlare, quando arrivò il primo qual’è, durissimo e inatteso, con l’apostrofo, arrivarono anche i conati di nausea, che raggiunsero la naturale catarsi di vomito al pò con l’accento. Il giovane gangster era molto soddisfatto: “La cultura aiuta la tortura!” pensò, sbavando efficacia ed efficienza. Finse di allentare la presa e si limitò a colpirlo con qualche ma però e qualche perchè con l’accento decisamente grave, come un lutto improvviso.
Il povero allibratore era stremato e il giovane malavitoso, in un afflato di magnanimità, pose fine alle sofferenze del malcapitato inserendo in una frase un ovvero come congiunzione congiuntiva, piuttosto che disgiuntiva.
Ovvero lo ammazzò.


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