La Minuta #9


Il narratore aveva ricevuto in dono un aneddoto da un'altra persona, o dalla vita, poco importa. Era un aneddoto come pochi, colorato da toni cupi e  catastrofici che mutavano diventando poi allegri e solari, alla prima annusata profumava di tensione, di luoghi chiusi e anche un poco di merda, ma dandogli tempo esplodeva in uno sbuffo di autoironia e lieto fine. Portandolo all'orecchio si sentiva un crescendo di archi e ottoni che culminava poi in assolo concitato di batteria, per finire nella spensierata strimpellata di un banjo. A tirarlo fuori così, al momento giusto e per un soldo, il narratore ci avrebbe vissuto per un bel pezzo. Ma decise di giocarsela diversamente. Lo nutrì per bene, l'aneddoto crebbe, prima lentamente e poi un po’ più veloce, al ritmo di un pettegolezzo sussurrato divenne, in men che non si dica, un'epopea. Il narratore lo analizzò da più angolazioni, si rese conto che ora era troppo grande, ed era divenuto informe. Lo mise a dieta, l'epopea si ridusse, più che dimagrire perse pezzi qua e là, il narratore raccolse da terra dei residui, delle sottotrame. L’epopea era mutata in romanzo, con una struttura sì complessa ma armonica, peccato però che la superficie, altrimenti setosa e morbida, fosse ancora increspata da personaggi inutili. Il narratore tracannò un boccale colmo di una mistura di cinismo, pragmatismo e oggettività, poi prese un coltello. Tra grida e schizzi di sangue, con sapienti colpi di lama, ridusse il romanzo in un racconto. Il narratore ora era soddisfatto, quel racconto non avrebbe avuto la forza di sfondare la porta di un editore né quindi di rendere l’autore ricco, ma trascese il tempo donando allo scrittore una forma di immortalità.

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